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Questa è una delle diete più in voga in questi ultimi anni. Come predica il suo scopritore Barry Sears, “la Zona non è un luogo simbolico, bensì uno stato fisiologico reale dell’organismo in cui gli ormoni controllabili attraverso la dieta vengono bilanciati allo scopo preciso di favorire l’insorgere di una condizione di salute ottimale… i confini della Zona sono definiti da parametri ematici… che poggiano sull’equilibrio dinamico di due sistemi ormonali chiave (quelli dell’insulina e degli eicosanoidi )” (14).

Sempre secondo Sears, il programma alimentare della Zona è composto da tre elementi:

a) l’equilibrio tra proteine e carboidrati ad ogni pasto ( ciò consente di controllare i livelli di insulina );

b) la restrizione calorica senza fame o privazioni;

c) l’integrazione con olio di pesce ( ciò agisce sugli eicosanoidi).

Gli eicosanoidi sono considerati ormoni (quindi sostanze prodotte da ghiandole), ma, al contrario di altri ormoni, che vengono prodotti da una specifica ghiandola, gli eicosanoidi sono prodotti da TUTTE le cellule del corpo umano. Questo significa che ogni nostra cellula si comporta come una ghiandola produttrice di eicosanoidi. Ci sono eicosanoidi “buoni” ed eicosanoidi “cattivi” e l’obiettivo dell’alimentazione è quello di trovare il giusto equilibrio tra i due gruppi.

 

Eicosanoidi buoni

Eicosanoidi cattivi

Inibiscono l’aggregazione delle piastrine Favoriscono l’aggregazione delle piastrine
Favoriscono la vasodilatazione Favoriscono la vasocostrizione
Attenuano il dolore Accentuano il dolore
Inibiscono la proliferazione cellulare Favoriscono la proliferazione cellulare
Stimolano la risposta immunitaria Deprimono la risposta immunitaria
Migliorano l’efficienza mentale Peggiorano l’efficienza mentale

 

Tutti gli eicosanoidi cattivi derivano dall’acido grasso omega 6 a catena lunga ACIDO ARACHIDONICO (AA), mentre gli eicosanoidi buoni dipendono dalla presenza abbondante di ACIDO EICOSAPENTAENOICO (EPA). Nella costruzione di eicosanoidi cattivi entra in gioco l’insulina, in quanto attivatore dell’enzima DELTA-5-DESATURASI; questo enzima catalizza la reazione di formazione degli acidi grassi omega 6 in acido ARACHIDONICO, che, come abbiamo detto è il precursore degli eicosanoidi cattivi.

Sears ha indubbiamente dato un bell’impulso a ragionare meglio sulle implicazioni ormonali date da una alimentazione sbagliata.

C’è comunque qualche precisazione da fare, soprattutto quando Sears afferma di poter fornire una restrizione calorica senza far soffrire la fame. Non tutte le persone che l’hanno provata sono d’accordo nell’affermare che, con la dieta Zona, non si soffra la fame e non si debbano fare privazioni. In effetti, da un punto quantitativo, con la dieta Zona c’è una restrizione non indifferente, che però dovrebbe essere sopportata mantenendo costanti i livelli di insulina. La dieta Zona è una dieta fortemente ipocalorica!

I punti di merito della Zona stanno nel fatto di aver ulteriormente ribadito l’importanza dei livelli di insulina per la salute, di aver introdotto un nuovo concetto ( che è quello degli eicosanoidi ), di insistere in modo eroico sul consumo abbondante di verdura e frutta ( e quindi sull’assunzione di fibre). I problemi più grossi di questa dieta si fanno vedere nella sua applicazione: per esser certo che le persone seguissero in modo corretto le prescrizioni, Sears ha ideato un complicato sistema di “blocchetti” di alimenti, che devono essere assemblati insieme per la composizione dei pasti: questo risulta a volte difficile da fare e richiede comunque un buon grado di istruzione, un’attitudine a fare i calcoli e una predisposizione a cambiare radicalmente i propri ritmi e gusti alimentari. Il rischio, altrimenti, è quello, anche qui di mangiare sempre le stesse cose. Un’altra nota di merito di Sears è aver insistito molto non più sull’indice glicemico, come fa Montignac, ma sul concetto di carico glicemico. L’indice glicemico di un alimento rappresenta la velocità con cui aumenta la glicemia ( e cioè la concentrazione di glucosio nel sangue) in seguito all’assunzione di quell’alimento. L’indice è espresso in termini percentuali rispetto alla velocità con cui la glicemia aumenta, in seguito all’assunzione di un alimento di riferimento ( che ha indice glicemico 100): un indice glicemico di 50 vuol dire che l’alimento innalza la glicemia con una velocità che è pari alla metà di quella dell’alimento di riferimento. Il concetto di carico glicemico si riferisce al fatto che una piccola quantità di carboidrati ad alto indice glicemico, produce i medesimi effetti sull’insulina di una grande quantità di carboidrati a basso indice glicemico.

C’è comunque una critica grande che può essere fatta a Sears: anche lui, come tanti altri, ha voluto assolutizzare un SOLO meccanismo biochimico e costruire un intero sistema alimentare solo su quello.

Proviamo a confrontare le tabelle che Montignac e Sears danno sugli alimenti, relativamente all’indice glicemico; possiamo constatare che ci sono differenze notevolissime.

Ecco qualche raffronto:

comparazione degli indici glicemici

ALIMENTI SECONDO SEARS

ALIMENTI SECONDO MONTIGNAC

  Alimento e suo indice glicemico             Alimento e suo indice glicemico

Anguria 103 Anguria 75
Mela 54 Mela 30
Pesche 40 Pesche 30
Linguine 79 Linguine/maccheroni 50
Ceci 47 Ceci 30
Pane bianco 100 Pane bianco 70
Couscous 93 Couscous 70
Banana 79 Banana 60
Maccheroni 64 Linguine/maccheroni 50
Patate bianche bollite 90 Patate bollite senza buccia 70
Pane integrale di segale 109 Pane di segale 40

 

Già facendo questi pochi esempi sorge qualche perplessità. Se ricordate cosa dice Montignac ( cioè che per dimagrire bisogna utilizzare alimenti con un indice glicemico inferiore a 36 ), a questo punto, la mela la possiamo mangiare o no? E le pesche? E i ceci? E quando dovremo mantenere il peso (utilizzando alimenti con un valore non superiore a 50) i maccheroni e le linguine potremo consumarli? E il pane di segale? L’indice glicemico è un indice troppo variabile e che risente di troppi fattori per poter essere preso come cardine per una certo tipo di alimentazione. Alla fine il rischio è quello di trasformare la Zona in una dieta fortemente proteica, nell’ossessione di limitare l’indice glicemico.

Riportiamo un brano dal sito www.albanesi.it in cui viene fatto un piccolo esperimento per dimostrare come la dieta Zona non abbia obiettivamente motivo di essere proposta:

“Come si sa, dopo l’assunzione di cibo la glicemia aumenta, raggiungendo un massimo stabile (picco) nei 30′-60′ dall’assunzione (vedi per esempio Interpretazione dei dati di laboratorio, Bonardi e al.). Tant’è che la curva glicemica è uno degli esami più importanti per la rilevazione di anomalie nella gestione degli zuccheri. In genere si somministrano 75 g di glucosio (300 kcal), ridotti a 50 g nei bambini e nei soggetti ipoponderali. In genere si considera normale una glicemia di picco inferiore a 180 mg/dl. Ovvio che assumendo più calorie la glicemia di picco aumenta rispetto al valore di normalità della curva glicemica. Secondo i dettami della scienza dell’alimentazione classica (V. Miselli – Il calcolo dei carboidrati nella terapia del diabete di tipo 1)

l’impatto dei macronutrienti sulla glicemia è del 90-100% per i carboidrati, del 50% per le proteine e del 10% per i grassi. VERO!

La dieta a zona si basa invece sulla considerazione che

un rapporto di proteine/carboidrati di 0,75 minimizza il picco insulinico. FALSO!

Ecco l’esperimento sul sottoscritto (individuo di 57 kg). Come si vede, il picco di glicemia dopo due ore scema nei tre casi (per fortuna non sono diabetico!), a riprova che l’insulina è intervenuta correttamente e ha fatto il suo lavoro. Nel primo caso per riportare la glicemia a livelli normali è stato necessario mobilitare una quantità di insulina decisamente superiore, contrariamente alla tesi di Sears secondo la quale un pasto in zona non dovrebbe scatenare nessun picco insulinico.
Fase uno – Misurazione della glicemia a riposo: 84 mg/dl.
Assunzione di 200 g di salmone Rio Mare e 200 g di Marmellata Menz Gasser (ripartizione dei macronutrienti: 38,5-29,9-31,6; totale calorie 633); misurazione della glicemia dopo 35′: 197 mg/dl;misurazione della glicemia dopo due ore: 88 mg/dl.
Fase due – Misurazione della glicemia a riposo: 83 mg/dl.
Assunzione di soli 200 g di Marmellata Menz Gasser (ripartizione dei macronutrienti: 94,1% carboidrati; totale calorie: 260); misurazione della glicemia dopo 35′: 164 mg/dl; misurazione della glicemia dopo due ore: 85 mg/dl.
Si noti come il primo pasto innalzi la glicemia molto di più del secondo, anche se ha un rapporto proteine/carboidrati decisamente più favorevole (secondo la zona); la differenza è solo nelle 362 kcal di salmone (solo proteine e grassi), a riprova che pure proteine e grassi contribuiscono all’innalzamento della glicemia. Non conta il rapporto, conta la quantità totale “pesata” (nel senso che le proteine contano per metà, i grassi per circa un decimo) dei macronutrienti. La fase due dimostra che è meglio mangiare 400 kcal con una ripartizione pessima che 600 kcal di un pasto perfettamente in zona. È proprio il fatto che un pasto “proibito” sia meglio di uno in zona che uccide già la zona! Ma andiamo avanti considerando una situazione isocalorica rispetto alla fase 1.
Fase tre – Misurazione della glicemia a riposo: 80 mg/dl.
Assunzione di 200 g di Marmellata Menz Gasser + 42 g di olio d’oliva extravergine (ripartizione dei macronutrienti: 39,8-1-59,2; totale calorie: 638); misurazione della glicemia dopo 35′: 174 mg/dl; misurazione della glicemia dopo due ore: 84 mg/dl.”

Effettivamente questo breve e semplice esperimento dimostra proprio come non sia fondamentalmente vero che pasti proporzionati secondo i dettami della Zona diano un livello glicemico più basso.

Riportiamo un altro brano dallo stesso sito, che invece pone dei seri dubbi sull’affidabilità della dieta Zona in ambito sportivo:

“Riporto la traduzione (i commenti in rosso sono i miei per cercare di rendere più comprensibile l’argomento) di un articolo comparso su Sports Med. 1999 Apr;27(4):213-28.

La dieta a zona e la prestazione atletica – Cheuvront SN.

Department of Nutrition, Food, and Exercise Sciences, Florida State University, Tallahassee, USA.

La dieta a zona è il più recente modello alimentare promosso con lo scopo di migliorare la prestazione atletica in contrapposizione con le tradizionali diete sportive ricche in carboidrati. La dieta 40/30/30 è centrata soprattutto sul fabbisogno proteico (da 1,8 a 2,2 g/kg di massa magra) e promette una modifica del rapporto fra insulina e glucagone attraverso un’alterazione dei macronutrienti. Le modifiche del quadro ormonale si pensa possano produrre una maggior produzione di eicosanoidi vasoattivi, permettendo una migliore ossigenazione muscolare. Questa condizione favorevole, conosciuta come la Zona, è aneddoticamente riportata come favorevole per atleti di resistenza. Applicando i fabbisogni proteici e la ripartizione dei macronutrienti della zona, è chiaro che si ha una dieta con pochi carboidrati e con minore apporto calorico rispetto allo standard.

La gran parte della letteratura si oppone al fatto che questa dieta possa migliorare la prestazione, una piccola minoranza l’approva. Il concetto che una dieta 40/30/30 possa alterare l’ormone pancreatico (insulina) in favore del glucagone è infondato. La zona è una dieta mista che non modifica il rilascio dell’ormone pancreatico come lo fanno i singoli alimenti. Sebbene la risposta insulinica postprandiale sia ridotta quando si confronti una dieta con il 40% di carboidrati con una con il 60% di carboidrati, c’è ancora uno stimolo sufficiente per bilanciare l’effetto lipolitico del glucagone (e quindi non c’è nessun effetto dimagrante che, nella Zona, si ottiene solo perché le calorie totali sono poche!). Molti dei benefici promessi dalla zona sono basati sull’informazione selettiva riguardante gli influssi sulla biologia degli eicosanoidi. L’informazione che contraddice (la zona) è stata sapientemente taciuta. Il principio di vasodilatazione delle arteriole dei muscoli ottenuto con l’alterazione della produzione di eicosanoidi è corretto in teoria. Tuttavia, la poca evidenza sperimentale su organismi umani non supporta la teoria di un contributo degli eicosanoidi nell’attivazione della vasodilatazione muscolare. Infatti, la produzione di eicosanoidi riferita dalla zona come responsabile dell’ossigenazione muscolare, non è rilevata nei muscoli scheletrici (cioè non è rilevata da prove sul campo!). Pertanto basandoci sull’evidenza scientifica, la dieta a zona dovrebbe essere considerata nei confronti della prestazione più ergolitica (distruttrice di forza in quanto ipocalorica) che ergogenica (generatrice di forza).”

La dieta ZONA è una dieta NON IPERPROTEICA, ma LOW CARB  e FORTEMENTE IPOCALORICA. Per capirlo basta fare qualche piccolo conto. Sapendo che ogni blocchetto contiene 9 grammi di carboidrati + 7 grammi di proteine + 7 grammi di grassi, facciamo un piccolo calcolo.

Sappiamo che il rapporto energetico è dato dalla suddivisione 40:30:30.

Nella zona la prima cosa da calcolare è la quota di proteine. Come si fa?

FORMULA: Quantità di massa magra x indice  di attività fisica (gli indici di attività fisica sono:

1,1 Sedentario puro

1,3 Lavoro tranquillo, senza allenamento né attività sportiva regolare

1,5 Lavoro più attività di fitness a bassa intensità; soggetti obesi

1,7 Lavori stressanti; soggetti che si allenano almeno tre volte a settimana o praticano sistematicamente uno sport

1,9 Lavoro e allenamento quotidiano aerobico o di pesi

2,1 Pesante allenamento quotidiano

2,3 Allenamento a scopo agonistico.

Facciamo l’esempio di un sedentario con 60 kg di massa magra. Dovrebbe consumare 66 grammi di proteine. Lo stesso Sears ha fatto delle correzioni a questo algoritmo: all’inizio ha fatto una prima correzione, stabilendo che, comunque, il minimo da assumere sono 77 grammi di proteine. Successivamente ha fatto una seconda correzione e ha stabilito, una volta per tutte, che un uomo, come minimo deve consumare  13-14 blocchi di proteine.

Ogni blocco ha 7 grammi di proteine. Quindi 98 grammi di proteine = 392 Kcal. Se questo rappresenta il 30% dell’introito quotidiano, vuol dire che altre 392 Kcal sono date dai grassi e 523 Kcal sono date dai carboidrati.

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QUINDI UN UOMO DI CIRCA 70 KG CON UNA MASSA MAGRA DI 60 KG POTRA’ AL MASSIMO AVERE UNA DIETA DI 1306 KCAL!

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